martedì 15 aprile 2025

FanZiNet: la Rete Analogica delle Fanzine Punk Italiane negli Anni ’80 di Paolo Palmacci aka Paul Shiva



Nel decennio in cui il telefono era fisso e il francobollo regnava sovrano — quello del Cinghiale Bianco e dei gettoni telefonici — esisteva già una rete. Non digitale, certo, ma altrettanto viva, interconnessa e sorprendentemente efficace: era la rete delle fanzine.

Ogni fanzine era un nodo di quella che oggi potremmo definire una FanziNet: una rete diffusa e sotterranea di produzione culturale indipendente, alimentata da passione, carta, colla, macchine da scrivere e fotocopiatrici. Ogni pubblicazione aveva un indirizzo fisico, che funzionava come un attuale indirizzo IP: via, numero civico, CAP e città. Bastava questo per iniziare uno scambio, creare connessioni, far circolare idee, immagini, suoni e parole tra le scene punk, post-punk, hardcore e nuovo rock italiane.

Una rete materiale, fatta di oggetti. Collage fotocopiati, testi battuti a macchina, grafiche rubate a riviste e reinventate. Niente era virtuale, tutto era tangibile. Ogni fanzine era un piccolo manufatto, un documento irripetibile, artigianale, spesso unico. Un medium che obbligava alla presenza, alla pazienza, all'attesa. E proprio per questo, umano.

Materialità vs smaterializzazione

Nel mondo di oggi, dove tutto è istantaneo, dove la comunicazione si fa senza corpo, senza tempo e senza luogo, questa esperienza analogica assume un valore enorme. Il corpo — ci piaccia o no — è la condizione necessaria per l’esperienza del mondo, e quindi per la conoscenza. L’astrazione, per quanto elevata, parte sempre da lì. E se oggi subiamo le conseguenze di un mondo sempre più smaterializzato, forse dovremmo guardare a quell’era analogica non solo con nostalgia, ma con consapevolezza critica.

Lentezza come valore

Un altro elemento fondamentale era la lentezza. Le lettere impiegavano giorni ad arrivare. Le telefonate interurbane costavano troppo. E allora ci si muoveva, si andava fisicamente ai concerti, alle mostre, agli incontri. L’evento era l’unico mezzo di fruizione e comunicazione. Nessun live su YouTube, nessuna storia Instagram, nessun podcast. Solo la presenza. Solo la carne. Solo le voci.

Era questo, in fondo, il collante della scena: una umanità viva, reale, condivisa, che oggi rischia di perdersi in un mare di click e scroll.

Una mappatura in corso

Quello che presentiamo oggi è un tentativo di mappatura di questa rete di fanzine italiane degli anni ’80, un’operazione archeologica e affettiva, politica e documentaria. Non vuole essere esaustiva ma partecipativa.

Chiunque voglia contribuire con segnalazioni, scansioni, racconti, correzioni, è il benvenuto. Potete scrivere a Capit Mundi
capitmundi@paolopalmacci.it

Perché ogni nodo, anche se dimenticato, fa parte di una storia collettiva che merita di essere ricordata. E, magari, ispirare nuove connessioni.





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