Ventitré minuti di musica: I Lowinsky tornano con un mini-album che nasconde un concept. Sei canzoni e un filo conduttore che si allaccia, con
partecipazione e rispetto, ai temi cari alla poetica del Buzzati del “Deserto dei Tartari”, citato in coda a “Nessuno si ricorderà di noi”: illusione, attesa di un’occasione, distanza incolmabile, (vano) anelito all’infinito, fallimento delle aspettative, incomunicabilità.
Partendo da una classica ricetta sonica indie rock, con sfumature folk ed emo, è sempre la melodia a guidare “Triste Sbaglio Sempre Lontani”, filtrata da uno sguardo distante, ma attento, a tutti i riferimenti di Carlo Pinchetti, autore delle canzoni, in un turbinio di collegamenti che uniscono gli ultimi Bright Eyes ai Velvet Underground, attraverso Lemonheads, Replacements e Rogér Fakhr.
Lowinsky è il progetto collettivo dello stesso Pinchetti che, dopo le esperienze, a cavallo degli anni Dieci, con Daisy Chains e Finistère, e
l'intermezzo di un disco acustico solista a suo nome, sceglie di proseguire con il formato band. Al suo fianco, negli anni, diversi amici-musicisti, che contribuiscono, a vari livelli, alla realizzazione di un EP, un album e alcuni singoli, tutti pubblicati da Moquette Records.
A settembre 2023 è uscito il primo singolo tratto da “Triste Sbaglio Sempre Lontani”: “Doppio Gioco”, pubblicato da Rocketman Records sul lato A di un vinile 7’’ split, che vede la partecipazione, sul lato B, dell’amico Drew McConnell (Helsinki), bassista e co-autore dei Babyshambles, nonché strumentista in diverse formazioni, tra cui i mitici La’s.
1. Grande Niente e una giostra che non mi vuole: brano indie rock che prova ad intercettare la rassegnazione risultante dalla
consapevolezza dell’incomunicabilità tra esseri umani, nonché della vacuità dell’empatia, al di là degli sforzi profusi.
2. Doppio Gioco: brano indie folk metaforico-autobiografico che, con una strizzata d’occhio al Simon Joyner di “Double Joe”, improvvisa
un ipotetico dialogo che si conclude con la presa di coscienza che la libertà è, in realtà, un’illusione.
3. Bottom of the barrel: unico pezzo in lingua inglese, il più rock del disco, al confine con punk e power pop. Il testo si evolve intorno alle considerazioni rassegnate di una vita dedicata al vano anelito alla realizzazione personale attraverso la propria arte.
4. Amphetamine Crown: pezzo delicato in finger picking, con uno sguardo al Rogér Fakhr di “Lady Rain”, che si libera ad un flusso di coscienza coronato da un assolo di chitarra dalle venature leggermente psichedeliche.
5. Nessuno si ricorderà di noi: altro pezzo indie pop rock che canta la serena certezza che la ricerca di legami ed empatia sono inevitabilmente mediate dal mondo, e quindi mai del tutto complete. Nonostante “in fondo io non voglio morire solo”.
6. Harakiri: sorella gemella e/o nemesi di “Seppuku”, altra canzone Lowinsky, pubblicata in “Oggetti Smarriti”, disco del 2020. Trova
finalmente, tramite una chitarra classica e un contrabbasso con archetto, la veste giusta per raccontare e immedesimarsi nei pensieri neri di un aspirante suicida.
Tutte le canzoni sono di Carlo Pinchetti, che ha anche cantato e suonato varie chitarre.
Hanno inoltre collaborato Linda Gandolfi, Andy Burch, Claudio Turco, Fabio Comensoli, Roberto Frassini Moneta, Elena Ghisleri, Gianluca Vulpio, Ettore Gilardoni e Massimo De Cario.
Tutte le tracce sono state registrate tra la sede di Gasterecords a Cologno al Serio (BG) e il FTS Studio di Almè (BG) da Giorgio Vitali, ad eccezione di “Bottom of the barrel”, registrata da Ettore Gilardoni al Real Sound Studio di Milano.
Le tracce 1,3 e 5 sono state mixate da Ettore Gilardoni, le tracce 2, 4 e 6 da Claudio Turco.
Il master è di Ettore Gilardoni.
La grafica è di Giorgia Barbieri.
“Finalmente Drogo capì e un lento brivido gli camminò nella schiena. Era l'acqua, era, una lontana cascata scrosciante giù per gli apicchi delle
rupi vicine. Il vento che faceva oscillare il lunghissimo getto, il misterioso gioco degli echi, il diverso suono delle pietre percosse ne facevano una voce umana, la quale parlava parlava: parole della nostra vita, che si era sempre a un filo dal capire e invece mai. Non era dunque il soldato che canterellava, non un uomo sensibile al freddo, alle punizioni e all'amore, ma la montagna ostile. Che triste sbaglio, pensò Drogo, forse tutto è così, crediamo che attorno ci siano creature simili a noi e invece non c'è che gelo, pietre che parlano una lingua straniera, stiamo per salutare l'amico ma il braccio ricade inerte, il sorriso si spegne, perché ci accorgiamo di essere completamente soli.”
“Proprio in quel tempo Drogo si accorse come gli uomini, per quanto possano volersi bene, rimangono sempre lontani; che se uno soffre il
dolore è completamente suo, nessun altro può prenderne su di sé una minima parte; che se uno soffre, gli altri per questo non sentono male,
anche se l'amore è grande, e questo provoca la solitudine della vita.”
Dino Buzzati, Il deserto dei tartari.
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