Con “Eight Hundred Years”, i Regrowth aggiungono un nuovo tassello all’universo narrativo che culminerà in A Story Worth Listening To, il secondo album della band in uscita il 28 novembre. Il gruppo metalcore/melodic-hardcore di Cagliari prosegue così il percorso iniziato con “Downpour”, approfondendo temi che non appartengono solo al vissuto individuale, ma si intrecciano con le stratificazioni emotive della memoria collettiva.
Il brano è una riflessione sul concetto di eredità: tutto ciò che riceviamo — valori, paure, convinzioni, ferite — non appartiene solo alla nostra storia personale. È qualcosa che scorre attraverso secoli di scelte, omissioni, tradimenti, silenzi e speranze. L’eredità non è solo ciò che ci è stato lasciato, ma ciò che continua a vivere dentro di noi, anche quando non lo riconosciamo.
“Abbiamo immaginato un futuro in cui ciascuno si ritrova a fare i conti con ciò che ha vissuto, con le scelte proprie e dei suoi predecessori. Come se il destino non fosse scritto, ma ripetuto, ogni ottocento anni,” racconta la band.
Il brano costruisce un paesaggio sonoro che oscilla tra tensione e malinconia: le chitarre si aprono come ferite, la voce frattura lo spazio e la sezione ritmica procede come un battito antico, quasi rituale. Non è solo rabbia, non è solo dolore: è lucidità. È il momento in cui ci si accorge che ciò che portiamo dentro non si è originato in noi, ma attraverso di noi.
Il visualizer, diretto da Marco Camarda e Paolo Angelo Loi, amplifica questa dimensione: una sequenza di immagini simboliche, sospese tra l’evocazione spirituale e il collasso del mondo materiale. Come un lampo di coscienza finale, un frammento di memoria globale che ritorna al centro, un attimo prima che tutto finisca o ricominci.
L’atmosfera è quella di un presente crepato, dove la normalità appare fragile e la paura del collasso non è più ipotesi, ma condizione quotidiana. E i Regrowth la raccontano senza sovrastrutture, affidandosi al linguaggio viscerale del metalcore, ai suoi vuoti, alle sue ripartenze, al modo in cui sa trasformare un peso invisibile in una tensione fisica.
Prodotto, registrato e mixato da Lorenzo Mariani presso Overcore Studio, con mastering di Brad Boatright (Audiosiege Studio, USA), “Eight Hundred Years” conferma la crescita della band sia dal punto di vista della scrittura che della visione.
Non un semplice singolo, ma un frammento narrative-core di un’opera più ampia: una storia che chiede di essere ascoltata, e che forse ci riguarda più di quanto siamo pronti ad ammettere.
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Con “Eight Hundr-ed Years”, i Regrowth aggiungono un nuovo tassello all’universo narrativo che culminerà in A Story Worth Listening To, il secondo album della band in uscita il 28 novembre. Il gruppo metalcore/melodic-hardcore di Cagliari prosegue così il percorso iniziato con “Downpour”, approfondendo temi che non appartengono solo al vissuto individuale, ma si intrecciano con le stratificazioni emotive della memoria collettiva.
Il brano è una riflessione sul concetto di eredità: tutto ciò che riceviamo — valori, paure, convinzioni, ferite — non appartiene solo alla nostra storia personale. È qualcosa che scorre attraverso secoli di scelte, omissioni, tradimenti, silenzi e speranze. L’eredità non è solo ciò che ci è stato lasciato, ma ciò che continua a vivere dentro di noi, anche quando non lo riconosciamo.
> “Abbiamo immaginato un futuro in cui ciascuno si ritrova a fare i conti con ciò che ha vissuto, con le scelte proprie e dei suoi predecessori. Come se il destino non fosse scritto, ma ripetuto, ogni ottocento anni,” racconta la band.
Il brano costruisce un paesaggio sonoro che oscilla tra tensione e malinconia: le chitarre si aprono come ferite, la voce frattura lo spazio e la sezione ritmica procede come un battito antico, quasi rituale. Non è solo rabbia, non è solo dolore: è lucidità. È il momento in cui ci si accorge che ciò che portiamo dentro non si è originato in noi, ma attraverso di noi.
Il visualizer, diretto da Marco Camarda e Paolo Angelo Loi, amplifica questa dimensione: una sequenza di immagini simboliche, sospese tra l’evocazione spirituale e il collasso del mondo materiale. Come un lampo di coscienza finale, un frammento di memoria globale che ritorna al centro, un attimo prima che tutto finisca o ricominci.
L’atmosfera è quella di un presente crepato, dove la normalità appare fragile e la paura del collasso non è più ipotesi, ma condizione quotidiana. E i Regrowth la raccontano senza sovrastrutture, affidandosi al linguaggio viscerale del metalcore, ai suoi vuoti, alle sue ripartenze, al modo in cui sa trasformare un peso invisibile in una tensione fisica.
Prodotto, registrato e mixato da Lorenzo Mariani presso Overcore Studio, con mastering di Brad Boatright (Audiosiege Studio, USA), “Eight Hundred Years” conferma la crescita della band sia dal punto di vista della scrittura che della visione.
Non un semplice singolo, ma un frammento narrative-core di un’opera più ampia: una storia che chiede di essere ascoltata, e che forse ci riguarda più di quanto siamo pronti ad ammettere.